giovedì 3 marzo 2011

SONO TORNATI....

Piranha3dFossero oggi sufficienti,nel cinema del superfluo le allusioni a titoli di valenza per suffragare o giustificare la messa in produzione di prodotti vuoti,il ricorso alla creatività perderebbe di significato in una corsa all'esercizio copiativo falso e inconsistente.
Il cinema,come mezzo di traduzione di un linguaggio sociale che si allarga nei termini della politica,della famiglia,della comunità umana e nei valori che ne derivano,è come lo specchio di una cultura che si sviluppa e cresce e che vede trasposto  in immagini ciò che è,che aspira a divenire o che teme. Se il messaggio trasmesso non emette frequenze,il segnale è muto e scorre davanti ai sensi senza lasciare traccia del suo passaggio.

"Piranha 3D" apre con intento ironico sulla figura di un pescatore,Richard Dreyfuss",seduto in barca in un lago e che mima sè stesso trentasei anni fa sulle note di "Show Me The Way To Go Home",nella sequenza con Robert Shaw nello "Squalo" di Spielberg.
L'incipit è accattivante,ma le considerazioni si fermano qui. Questa è la storia di in branco di piranhas preistorici vissuti e riprodottisi nelle viscere della terra e che,a causa di un movimento tellurico,trovano la via d'uscita dopo milioni di anni da una caverna apertasi sotto il fondale dell'immaginario lago Vittoria in Arizona,infestando le acque frequentate da migliaia di turisti vacanzieri e studenti in festa riuniti per lo Spring Break di marzo.

Jake Forester (Steven R McQueen) è un giovane del posto che gravita attorno all'entourage del sedicente regista Derrick Jones (Jerry O'Connell),impegnato a girare un porno filmetto soft con la compiacenza di disponibili ragazzine disinibite.
Invece di accudire al fratellino e alla sorellina,Jake si lascia incantare dall'occasione di assistere alle riprese sulla barca di Derrick,che viene attaccata dai pesci cannibali.
Toccherà al ragazzo e alla madre Julia (Elisabeth Shue),sceriffo locale,salvare i turisti e la popolazione dal terribile pericolo.
E' evidente il richiamo alla situazione di Amity,in questo indigente remake firmato Alexandre Aja del lavoro di Joe Dante del 1978,che si dispiega in un eccesso di volgarità gratuite e indulgente nullismo qualitativo.
Fitto di protagonismo adolescenziale smoderatamente triviale e grossolano,il film è uno sproloquio dialogato e asostanziale,privo del minimo contenuto sensato che si correli al gusto o alla buona creanza.
Le sequenze si susseguono stancamente in un ritornello ripetitivo e senza empatia,intento a raggiungere l'epilogo in una futile stupidità narrativa che ritrae la desolante condizione di un paesaggio umano di allarmante povertà,con dialoghi e situazioni che implodono grottescamente nel nichilismo di uno spettacolo triste e sboccato.
Steven R McQueen,nipote di un'icona,si agita su una scena infestata dai clichè di genere ("Anaconda","Lake Placid"),ricca di colore e movimento,ma vuota di ogni sintomo di vita.

Il ricorso al 3D - ma il film è stato girato in 2D e convertito in postproduzione - sortisce lo stesso effetto posticcio dell'ambientazione fracassona e della superflua iperattività delle mille comparse con i corpi scoperti ma senza volto.
Nel tentativo illusorio di conferire al racconto la decenza di una struttura,il regista imbastisce la narrazione in un'altalenarsi visivo di chiari scuri,luce buio,colori e ombre,aria e acqua,rimandando anche nelle riprese a pelo d'acqua al gioco duale della pellicola di Spielberg.
Non c'è dramma nè paura,novità o interesse in questa apologia del cattivo gusto,dove ogni considerazione sostanziale pare fuori luogo per un prodotto a perdere,sgradito persino sulla mensa del consumismo più mercataro e degradato di un cinema di infimo livello.

Nessun commento:

Posta un commento